mercoledì 4 giugno 2008

Contratti a Progetto: facciamo il punto

A distanza di oltre quattro anni dall’entrata in vigore della ‘Legge Biagi’ (che ha introdotto nel nostro ordinamento il contratto a progetto), è sempre più in crescita il numero dei lavoratori a progetto, mentre sono in calo le assunzioni a tempo indeterminato. L’importanza cruciale del lavoro a progetto nell’attuale Mercato del lavoro è stata sottolineata dal Ministero del Lavoro che, infatti, ha emanato già quattro circolari (l’ultima è la numero 8 del 31 marzo 2008), fornendo chiarimenti e indicazioni operative. Facciamo il punto sui tratti sostanziali del rapporto di lavoro a progetto anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali e dei riscontri degli Ispettori del lavoro, chiamati a vigilare affinché il contratto a progetto non venga utilizzato come strumento per eludere la normativa sul lavoro subordinato. Ai sensi dell’art. 61 del d.lgs. 276/2003 (cosiddetta ‘Legge Biagi’), le collaborazioni coordinate e continuative devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro (o fasi di esso). Sono, pertanto, illegittimi i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa posti in essere al di fuori di questo schema negoziale tipico, con la conseguenza della trasformazione del rapporto di lavoro a progetto in rapporto subordinato a tempo indeterminato. Ma andiamo con ordine. Il contratto a progetto può essere validamente e legittimamente stipulato per lo svolgimento di un’attività progettuale resa in piena autonomia e sulla base di un mero coordinamento con il committente (nell’ambito del contratto a progetto è più corretto parlare di committente piuttosto che di datore di lavoro). Il contratto a progetto deve tendere al raggiungimento di un risultato predeterminato. La forma scritta del contratto di lavoro a progetto è richiesta soltanto ai fini della prova. In altre parole, essa assume valore decisivo per l’individuazione del progetto o programma di lavoro (o fase di esso). In mancanza di forma scritta, infatti, non sarà facile per il committente dimostrare che la prestazione lavorativa sia riconducibile nell’ambito del contratto (autonomo) a progetto. A tal proposito, nel caso in cui nel contratto manchi totalmente l’indicazione del progetto, il rapporto di lavoro si trasforma automaticamente in lavoro subordinato a tempo indeterminato, a meno che il committente fornisca la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro effettivamente autonomo. Se, invece, il progetto esiste ed è indicato nel contratto, sarà il lavoratore a dovere dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro e che il progetto, in concreto, non esiste. Il progetto o programma di lavoro (o fase di esso) deve essere specificato ed individuato in modo specifico. Esso può essere funzionalmente correlato all’attività esercitata dall’impresa, ma non può in nessun modo coincidere con essa. Ciò significa che il progetto indicato nel contratto non può limitarsi a descrivere il mero svolgimento dell’attività esercitata dall’impresa né può consistere nella semplice elencazione, seppur analitica, delle mansioni del lavoratore. Se da un lato l’inserimento del collaboratore a progetto nel contesto aziendale non può essere considerato un elemento decisivo per la natura subordinata del rapporto di lavoro, dall’altro è, però, necessario che il collaboratore abbia una autonomia di scelta sulle modalità esecutive di svolgimento della propria prestazione lavorativa. Non si dimentichi, infatti, che il lavoro a progetto ha natura autonoma ed è proprio questo l’elemento che lo differenzia dal rapporto di lavoro subordinato. Deve, dunque, mancare qualsiasi tipo di direzione e controllo, da parte del committente, sull’attività del collaboratore. E’, inoltre, ininfluente il tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa: ciò che conta è la realizzazione del progetto. Si parla, a tal proposito, di obbligazione di risultato e non di durata. Ecco perché il compenso del collaboratore non può essere legato esclusivamente al tempo della prestazione, così come avviene nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato. La non ingerenza del committente nell’attività lavorativa del collaboratore comporta anche che egli non può e non deve attuare alcun potere disciplinare nei confronti dello stesso. Per quanto riguarda le concrete modalità operative con le quali vengono rese le prestazioni lavorative, va detto che una prestazione ripetitiva e predeterminata è assai difficilmente compatibile con una attività di carattere progettuale. Inoltre, il collaboratore non deve essere utilizzato per una molteplicità di generiche attività estranee al progetto. La sua prestazione non deve in nessun caso risolversi in una mera messa a disposizione di energie lavorative in favore del committente. Per quanto riguarda, infine, la proroga del contratto nel caso in cui il risultato indicato nel progetto non sia stato raggiunto entro la scadenza del contratto, si osserva che la proroga ingiustificata – così come il rinnovo del contratto per un progetto identico al precedente – costituiscono elementi particolarmente incisivi per la prova della subordinazione. Tralasciando, in conclusione, i discorsi su precariato e crisi d’impresa, emerge un dato incontestabile: che il contratto di lavoro a progetto costituisce un vero e proprio fenomeno ed è sempre più diffuso. Il fatto che il contratto a progetto sia visto come un passo ‘obbligato’ verso la tanta aspirata stabilità lavorativa non è sufficiente, a mio parere, a giustificare la scarsa conoscenza della disciplina sostanziale di tale tipologia contrattuale da parte degli stessi lavoratori a progetto che, tra l’altro, sono più qualificati e preparati rispetto agli anni passati.

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Circolare n. 1/2004 del Ministero del Lavoro. Il Ministero fornisce indicazioni sulla disciplina sostanziale del contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto (co.co.pro.), evidenziando il presupposto fondamentale dell’autonomia della prestazione e le caratteristiche del "progetto, programma di lavoro o fase di esso".

Circolare n. 17/2006 del Ministero del Lavoro. Con riferimento al settore dei call center, il Ministero interviene ad individuare le modalità di corretto utilizzo di tale tipologia contrattuale, descrivendo in modo analitico le forme di svolgimento della prestazione lavorativa.

Circolare n. 4/2008 del Ministero del Lavoro. Il Ministero offre agli organi di vigilanza concrete indicazioni operative per una più incisiva ed uniforme azione ispettiva volta a ricondurre l’utilizzo del contratto a progetto nell’ambito delle finalità individuate dalla legge. Il Ministero, inoltre, fornisce un elenco di alcune particolari attività lavorative che sembrano difficilmente compatibili con la tipologia del contratto a progetto. Eccole:

addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
addetti alle agenzie ippiche;
addetti alle pulizie;
autisti e autotrasportatori;
babysitter e badanti;
baristi e camerieri;
commessi e addetti alla vendita;
custodi e portieri;
estetiste e parrucchieri;
facchini;
istruttori di autoscuola;
letturisti di contatori;
manutentori;
muratori e qualifiche operaie dell'edilizia;
piloti e assistenti di volo;
prestatori di manodopera nel settore agricolo;
addetti alle attività di segreteria e terminalisti.

Per quanto riguarda le suddette attività lavorative, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato si presume. Incombe, infatti, sul committente l’onere di provare la riconducibilità del rapporto di lavoro nell’ambito dell’autonomia e, quindi, del rapporto di lavoro a progetto.

Circolare n. 8/2008 del Ministero del Lavoro. Il Ministero fornisce nuove indicazioni sul processo di trasformazione/stabilizzazione dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato (D.L. 248/2007 conv. Legge 31/2008).

Gli elementi che identificano un rapporto di lavoro di natura subordinata.
I Giudici del Lavoro intendono la subordinazione come "assoggettamento gerarchico del lavoratore al potere di direzione e controllo del datore di lavoro". La giurisprudenza ha individuato alcuni indici che possono concorrere a dimostrare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato:

- la sottoposizione del lavoratore al potere disciplinare;
- l’obbligo di eseguire la prestazione nell’orario stabilito dal datore di lavoro;
- la predeterminazione e la continuità ideale della prestazione;
- la periodicità, le caratteristiche e la misura del compenso del lavoratore;
- l’assenza, per il lavoratore, del rischio concernente il risultato finale dell’attività;
- la mancanza di una organizzazione propria del lavoratore che impiega quella del datore;
- l’inserimento strutturale del lavoratore nell’organizzazione produttiva del datore di lavoro.

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