mercoledì 16 aprile 2008

Abuso nell'utilizzo dei contratti a progetto


LA SUPREMA CORTE DA' RAGIONE A UN GRUPPO DI RAGAZZE VENETE
"I precari dei call center vanno assunti"


La Cassazione: chi ha un orario di lavoro e usa materiale dell'azienda è un dipendente

ROMA La Cassazione dà ragione ai precari: non sono lavoratori autonomi ma devono essere assunti i ragazzi impiegati in un call center che devono annotare il numero di telefonate fatte, l’esito raggiunto e rispettare un orario di lavoro preciso e per di più utilizzano apparecchi e locali dell’azienda. Devono essere assunti e hanno quindi diritto anche ad avere i contributi previdenziali.Lo ha stabilito la Suprema corte che, con la sentenza n. 9812 del 14 aprile 2008, ha respinto il ricorso di una società che lavora nel settore pubblicitario e che aveva citato in causa l’Inps sostenendo che le ragazze impiegate all’interno dell’azienda, nel call center, non erano lavoratrici subordinate; l’Inps, invece, sosteneva che il rapporto fra l’impresa e i dipendenti aveva natura subordinata. Per questo, in prima battuta, il datore di lavoro si era rivolto al Tribunale di Padova che, nel 2001, gli aveva dato ragione affermando la natura autonoma del lavoro prestato dalle giovani. La Corte d’appello di Venezia era invece pervenuta a una decisione diversa dichiarando che il lavoro svolto da 15 delle ragazze, tra le quali quelle indicate nel rapporto ispettivo dell’Inps, aveva natura subordinata e quindi nel 2005 aveva condannato l’azienda a pagare oltre mezzo miliardo di vecchie lire all’Inps come contributi previdenziali evasi. Contro questa decisione l’azienda ha fatto ricorso in Cassazione, ma lo ha perso. I giudici della Sezione lavoro hanno infatti ritenuto corretta la sentenza della corte territoriale veneziana. Perché, ha spiegato la Cassazione, «il giudice del gravame ha preso in esame le numerose testimonianze raccolte e i verbali ispettivi ed ha ritenuto elementi qualificanti della subordinazione delle dipendenti con mansioni di telefoniste le circostanze che seguivano le direttive impartite dall’azienda in relazione ad ogni telefonata da svolgere, prendendo nota dell’esito e del numero di telefonate, che avevano un preciso orario di lavoro e che utilizzavano attrezzature e materiali della società».Il plauso dei sindacatiCarlo Podda, segretario generale della Fp-Cgil: «La Cassazione interviene giustamente in un settore in cui vi sono carenze di natura legislativa e conferma numerose sentenze che prevedono la natura subordinata del lavoro di chi, come ad esempio accade nei call-center, utilizza materiale, locali della azienda che appalta il servizio ed effettua un lavoro che in nulla si differenzia da quello subordinato. Per le parti sociali questa sentenza deve essere motivo per aprire una riflessione sullo strumento dei lavori come quello nei call-center, aziende che non vanno demonizzate ma riconosciute per quello che sono. Nella pubblica amministrazione», continua Podda, «c’è anche l’aggravante che si appalta un lavoro all’esterno ma senza che da questo derivino risparmi. Anzi, può capitare che si spendi di più per ottenere un servizio di qualità spesso non particolarmente elevata perché bisogna permettere alla società esterna di guadagnarci e ai lavoratori di percepire uno stipendio. Sarebbe davvero opportuno che le parti sociali avviino una riflessione sull’intera materia». Anche la Slc-Cgil valuta molto positivamente la sentenza della Cassazione. «La sentenza - si legge in una nota - si inquadra perfettamente nell’impegno sia del Ministero del Lavoro che dei sindacati per la regolarizzazione di un settore delicato quale quello dei call center che conta molte migliaia di lavoratori soprattutto giovani e donne. Ci auguriamo che questa sentenza rilanci l’urgenza della stabilizzazione prevista dalle due circolari Damiano ove non sia stata ancora applicata».

articolo tratto da La stampa.it

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