lunedì 16 novembre 2009
Influenza A: lettera Fimmg a medici, vaccinatevi senza diffondere dubbi
"Vaccinatevi e agevolate la vaccinazione dei soggetti a rischio", evitando di diffondere dubbi e perplessità senza fondamento sulla sicurezza dei prodotti 'scudo' contro il virus H1N1. Giacomo Milillo, presidente del sindacato dei medici di famiglia Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale), scrive una lettera ai colleghi e li invita a fare la propria parte contro la nuova influenza A. "Siamo di fronte alla sempre maggiore diffusione della pandemia - esordisce - e il nostro compito fondamentale è quello di essere vicini ai cittadini assistendoli nel modo più compiuto e adeguato", sottolinea. "Se da un lato ciò comporta la garanzia di cure alle persone affette da influenza - continua Milillo nella missiva indirizzata ai 27 mila iscritti Fimmg - un altrettanto importante e fondamentale compito è rappresentato dalla prevenzione della diffusione della malattia nelle fasce di popolazione più vulnerabili. Invito ciascuno di voi a farsi parte attiva per agevolare al massimo la vaccinazione delle persone a rischio e a sottoporsi alla vaccinazione contro l'influenza pandemica". Secondo Milillo, "questi mesi saranno un banco di prova importante per la nostra categoria che dovrà dimostrare ai cittadini quanto è effettivamente al loro fianco nel momento del bisogno. La campagna vaccinale, programmata a partire dal 15 novembre, non è ancora a regime e in molte Asl si registra qualche difficoltà a decollare. In alcune regioni si è deciso di affidare la vaccinazione ai medici di medicina generale, in altre si è preferito assegnare questo compito a sedi distrettuali o aziendali. Non è importante chi somministra il vaccino contro l'influenza A - osserva il presidente - ma la realizzazione di una adeguata copertura vaccinale. Perciò è fondamentale che il messaggio alla popolazione sia il più chiaro ed omogeneo possibile"."Non è un comportamento professionale corretto e responsabile - afferma Milillo - diffondere dubbi sulla sicurezza del vaccino e perplessità che non si basano su attendibili fonti di riferimento e contribuiscono piuttosto a creare un clima di confusione che potrebbe mettere a rischio le fasce vulnerabili della popolazione", avverte. "La nostra vaccinazione - continua la lettera del numero uno della Fimmg ai colleghi - serve a contribuire alla protezione della popolazione, in particolare dei malati cronici che assistiamo. Il vantaggio che la vaccinazione comporta nei soggetti a rischio (malati cronici, donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza) è infinitamente superiore a possibili rischi teorici", assicura. "I dubbi sulla sicurezza del vaccino sono infondati e pretestuosi: l'adiuvante in esso contenuto è stato somministrato a milioni di persone in passato (oltre 40 milioni) - ricorda Milillo - ed ha registrato solo tre o quattro casi di complicanze gravi". E "la quantità di mercurio contenuta nella dose vaccinale prelevata da un flacone multidose è paragonabile a quella che assumiamo mangiando una o due scatole di tonno". (Adnkronos Salute)
sabato 12 settembre 2009
A chi le priorità dei vaccini contro l'influenza A/H1N1
(Nota ministero Lavoro e Salute 11.9.2009)
Via libera al piano di vaccinazioni contro l'influenza A/H1N1. A partire dal prossimo 15 ottobre saranno disponibili i vaccini e il piano si articolerà in base alle priorità previste dall'Ordinanza firmata l'11 settembre dal viceministro Fazio. Su questa base i primi a poter utilizzare i vaccini beneficiare della vaccinazione aranno i lavoratori dei servizi pubblici essenziali come personale sanitario, forze dell'ordine, addetti alle relazioni con la pubblica utenza o autisti dei mezzi pubblici e le persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni affette da particolari patologie. Anche le donne in gravidanza sono inserite tra le categorie prioritarie, ma solo quelle che si trovano tra il secondo e il terzo trimestre di gestazione.
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Influenza A/H1N1 - Nota dell'11 settembre 2009
Il Viceministro alla Salute Prof. Ferruccio Fazio ha firmato oggi l’Ordinanza recante "Misure urgenti in materia di profilassi vaccinale dell’Influenza pandemica A/H1N1".
Il provvedimento individua le categorie di persone a cui è diretta l’offerta della vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1 a partire dal momento della effettiva disponibilità del vaccino (la consegna alle Regioni e Province Autonome è prevista nel periodo 15 ottobre-15 novembre 2009) fino a copertura di almeno il 40% della popolazione residente in Italia.
In ordine di priorità l’offerta vaccinale sarà rivolta a:
- persone ritenute essenziali per il mantenimento della continuità assistenziale e lavorativa: personale sanitario e socio-sanitario; personale delle forze di pubblica sicurezza e della protezione civile; personale delle Amministrazioni, Enti e Società che assicurino i servizi pubblici essenziali; i donatori di sangue periodici;
- donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza;
- persone a rischio, di età compresa tra 6 mesi e 65 anni;
- persone di età compresa tra 6 mesi e 17 anni, non incluse nei precedenti punti, sulla base degli aggiornamenti della scheda tecnica autorizzata dall’EMEA o delle indicazioni che verranno fornite dal Consiglio Superiore di Sanità;
- persone tra i 18 e 27 anni, non incluse nei precedenti punti.
In particolare sono considerate persone a rischio quelle affette da: malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio, inclusa asma, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO; malattie dell’apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie congenite ed acquisite; diabete mellito e altre malattie metaboliche; malattie renali con insufficienza renale; malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie; gravi epatopatie e cirrosi epatica; malattie congenite ed acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci o da HIV; malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale; patologie associate ad un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie, ad esempio malattie neuromuscolari; obesità con Indice di massa corporea (BMI) > 30 e gravi patologie concomitanti; condizione di familiare o di contatto stretto di soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati.
In base alla disponibilità di vaccino pandemico nel corso della campagna vaccinale potranno essere inserite nel programma anche altre categorie di soggetti.
Il vaccino sarà distribuito alle Regioni e alle Province Autonome sulla base della popolazione residente e ad altre Amministrazioni dello Stato sulla base di specifici Accordi.
Le attività relative alla campagna di prevenzione dell’influenza stagionale, di cui alla circolare del 23 luglio 2009, avranno inizio non oltre il 1 ottobre 2009.
Con riguardo alle vaccinazioni delle donne in gravidanza, ai soggetti dai 6 mesi ai 17 anni e alle covaccinazioni, verrà emanata una successiva Ordinanza dettagliata a seguito del Parere del Consiglio Superiore di Sanità.
Via libera al piano di vaccinazioni contro l'influenza A/H1N1. A partire dal prossimo 15 ottobre saranno disponibili i vaccini e il piano si articolerà in base alle priorità previste dall'Ordinanza firmata l'11 settembre dal viceministro Fazio. Su questa base i primi a poter utilizzare i vaccini beneficiare della vaccinazione aranno i lavoratori dei servizi pubblici essenziali come personale sanitario, forze dell'ordine, addetti alle relazioni con la pubblica utenza o autisti dei mezzi pubblici e le persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni affette da particolari patologie. Anche le donne in gravidanza sono inserite tra le categorie prioritarie, ma solo quelle che si trovano tra il secondo e il terzo trimestre di gestazione.
Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Influenza A/H1N1 - Nota dell'11 settembre 2009
Il Viceministro alla Salute Prof. Ferruccio Fazio ha firmato oggi l’Ordinanza recante "Misure urgenti in materia di profilassi vaccinale dell’Influenza pandemica A/H1N1".
Il provvedimento individua le categorie di persone a cui è diretta l’offerta della vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1 a partire dal momento della effettiva disponibilità del vaccino (la consegna alle Regioni e Province Autonome è prevista nel periodo 15 ottobre-15 novembre 2009) fino a copertura di almeno il 40% della popolazione residente in Italia.
In ordine di priorità l’offerta vaccinale sarà rivolta a:
- persone ritenute essenziali per il mantenimento della continuità assistenziale e lavorativa: personale sanitario e socio-sanitario; personale delle forze di pubblica sicurezza e della protezione civile; personale delle Amministrazioni, Enti e Società che assicurino i servizi pubblici essenziali; i donatori di sangue periodici;
- donne al secondo o al terzo trimestre di gravidanza;
- persone a rischio, di età compresa tra 6 mesi e 65 anni;
- persone di età compresa tra 6 mesi e 17 anni, non incluse nei precedenti punti, sulla base degli aggiornamenti della scheda tecnica autorizzata dall’EMEA o delle indicazioni che verranno fornite dal Consiglio Superiore di Sanità;
- persone tra i 18 e 27 anni, non incluse nei precedenti punti.
In particolare sono considerate persone a rischio quelle affette da: malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio, inclusa asma, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO; malattie dell’apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie congenite ed acquisite; diabete mellito e altre malattie metaboliche; malattie renali con insufficienza renale; malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie; gravi epatopatie e cirrosi epatica; malattie congenite ed acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci o da HIV; malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale; patologie associate ad un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie, ad esempio malattie neuromuscolari; obesità con Indice di massa corporea (BMI) > 30 e gravi patologie concomitanti; condizione di familiare o di contatto stretto di soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati.
In base alla disponibilità di vaccino pandemico nel corso della campagna vaccinale potranno essere inserite nel programma anche altre categorie di soggetti.
Il vaccino sarà distribuito alle Regioni e alle Province Autonome sulla base della popolazione residente e ad altre Amministrazioni dello Stato sulla base di specifici Accordi.
Le attività relative alla campagna di prevenzione dell’influenza stagionale, di cui alla circolare del 23 luglio 2009, avranno inizio non oltre il 1 ottobre 2009.
Con riguardo alle vaccinazioni delle donne in gravidanza, ai soggetti dai 6 mesi ai 17 anni e alle covaccinazioni, verrà emanata una successiva Ordinanza dettagliata a seguito del Parere del Consiglio Superiore di Sanità.
venerdì 3 luglio 2009
Riserve Aperte" - 15 e 16 luglio 2009
"Riserve Aperte" - 15 e 16 luglio 2009
Nel Regno incantato di Vinnicari
Allontana i tuoi pensieri forestiero.
Abbandona i tuoi sensi per lasciarti stupire dalle magie della natura.
Qui a Vendicari gli effetti speciali non mancheranno se li saprai vedere e ascoltare. La natura ammaliatrice ti trasporterà con se alla scoperta dei suoi tesori.
Nei giorni 15 e 16 Luglio, nell’ambito del progetto "Riserve Aperte", la Riserva di Vendicari diventerà un luogo dove 15 allievi, che attualmente svolgono la fase di stage all'interno del corso “PTTA 85” organizzato dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana all'interno delle aree protette di sua competenza, coinvolgeranno i visitatori in magiche avventure di apprendimento.
Le attività proposte nella R.N.O. di Vendicari sono:
La voce di Vendicari – si invitano i visitatori al silenzio per ascoltare e "registrare" i suoni della natura.
Danzatori nel vento – si invitano i visitatori a cercare piccoli protagonisti disposti ad "andare in scena".
Pitture naturali – si invitano i visitatori a cercare i colori della natura per realizzare il proprio "dipinto di stagione".
Scheletri segreti – i visitatori entreranno in contatto con gli abitanti eterni del bosco.
... scopriremo anche le Stagioni, l'Erosione, ed Il Mio Amico Albero.
Abbigliamento: crema solare, occhiali da sole, copri capo, scarpe da trekking, borraccia per l'acqua...e macchina fotografica
Luoghi di incontro:
Ingresso principale della Riserva; Ingresso Case Cittadella; Ingresso Fondo Mosche
Appuntamento dalle 8.30 alle 14.30
Ti aspettiamo, non mancare!!!
Lo Staff PTTA 85
Nel Regno incantato di Vinnicari
Allontana i tuoi pensieri forestiero.
Abbandona i tuoi sensi per lasciarti stupire dalle magie della natura.
Qui a Vendicari gli effetti speciali non mancheranno se li saprai vedere e ascoltare. La natura ammaliatrice ti trasporterà con se alla scoperta dei suoi tesori.
Nei giorni 15 e 16 Luglio, nell’ambito del progetto "Riserve Aperte", la Riserva di Vendicari diventerà un luogo dove 15 allievi, che attualmente svolgono la fase di stage all'interno del corso “PTTA 85” organizzato dall'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana all'interno delle aree protette di sua competenza, coinvolgeranno i visitatori in magiche avventure di apprendimento.
Le attività proposte nella R.N.O. di Vendicari sono:
La voce di Vendicari – si invitano i visitatori al silenzio per ascoltare e "registrare" i suoni della natura.
Danzatori nel vento – si invitano i visitatori a cercare piccoli protagonisti disposti ad "andare in scena".
Pitture naturali – si invitano i visitatori a cercare i colori della natura per realizzare il proprio "dipinto di stagione".
Scheletri segreti – i visitatori entreranno in contatto con gli abitanti eterni del bosco.
... scopriremo anche le Stagioni, l'Erosione, ed Il Mio Amico Albero.
Abbigliamento: crema solare, occhiali da sole, copri capo, scarpe da trekking, borraccia per l'acqua...e macchina fotografica
Luoghi di incontro:
Ingresso principale della Riserva; Ingresso Case Cittadella; Ingresso Fondo Mosche
Appuntamento dalle 8.30 alle 14.30
Ti aspettiamo, non mancare!!!
Lo Staff PTTA 85
domenica 21 dicembre 2008
Il bonus famiglie scatta a febbraio
A febbraio 2009 le buste paga dei lavoratori e le pensioni di 8 milioni di famiglie saranno più pesanti. Anche se con effetto una tantum. Il piano anti-crisi varato per decreto dal Consiglio dei ministri, fissa all'inizio del prossimo anno il decollo del bonus (a gennaio le domande), che oscillerà tra i 200 e i 1.000 euro anche sulla base dei figli e degli anziani presenti nel nucleo e che potrà scattare (sotto forma di detrazione) fino a un reddito di 22mila euro. Un tetto che sale a 35mila euro per le famiglie con portatori di handicap. Sempre a partire da 2009 andrà a regime l'intervento per mitigare le tariffe.Ma tra i quasi 40 articoli di cui è composto il decreto si snodano altre misure di sostegno: dall'alleggerimento dell'Irap per le imprese all'irrobustimento e all'estensione degli ammortizzatori sociali (anche ai co.co.co.); dal tetto del 4% sulla rata del mutuo variabile per la prima casa al prestito agevolato per "bebè" fino alle nuove regole sugli accertamenti. Nel piano confluiscono la revisione dell'Opa, i "Tremonti bond" e rispunta la "porno-tax", che viene estesa anche alle trasmissioni Tv a luci rosse (addizionale Irpef del 25% su chi produce e commercializza materiale pornografico). Vengono confermate l'Iva per cassa e la velocizzazione dei pagamenti della pubblica amministrazione. Confermato anche il taglio di tre punti degli acconti Ires e Irap in scadenza il 1° dicembre. Che rappresenta uno dei pochi interventi che scatteranno prima della fine del 2008. Non a caso il ministro Giulio Tremonti sottolinea che gli effetti del piano si sentiranno per due o tre anni.Un piano che il Consiglio dei ministri approva in dieci minuti. Ma il via libera arriva alla fine di una gestazione durata 20 giorni, con pressioni di vario tipo sul ministro dell'Economia, come quella esercitata (con successo) dal ministro Ignazio La Russa per estendere la detassazione del salario di produttività (la cui soglia sale a 35mila euro) anche al personale pubblico dei settori della Difesa, dei Vigili del fuoco e della sicurezza. Un gestazione non del tutto in discesa, insomma. Che ha contribuito a far lievitare, seppure non di molto, il valore del pacchetto di sostegni diretti a famiglie e imprese a quota 5-6 miliardi (secondo alcune stime dei tecnici), 1-2 miliardi in più rispetto ai 4 miliardi di cui si parlava nei giorni scorsi. Tremonti non fornisce i dettagli sulle cifre limitandosi ad affermare che il piano del Governo mobilita 80 miliardi tra risorse sbloccate, utilizzazioni di fondo Ue, sostegni diretti e riduzioni di costi e di tariffe.Il cuore del pacchetto è rappresentato dagli interventi di natura assistenziale, che si vanno ad aggiungere alla social card già prevista dalla manovra estiva, la cui decorrenza, in questo caso, è dicembre 2008. Tra bonus famiglia (2,4 miliardi) e potenziamento degli ammortizzatori (ulteriori 426 milioni da aggiungere ai 600 milioni della Finanziaria, più altri 200 milioni di risorse "europee") si arriva a quota 3 miliardi.Quello per le famiglie appare il capitolo più ricco del decreto. Oltre al bonus, arrivano un tetto del 4% per le rate del mutuo variabile per l'acquisto della prima casa (della parte in eccesso se ne farà carico lo Stato con un fondo di garanzia) e il congelamento, o la riduzione, delle tariffe legate alle forniture abituali (acqua esclusa) con interventi anche su quelle delle Ferrovie e delle autostrade. Del pacchetto fa anche parte il prestito a tasso particolarmente agevolato alle famiglie con nuovi nati (il cosiddetto prestito-bebè).Sul versante lavoro, in aggiunta all'irrobustimento della dote per gli ammortizzatori arriva un assegno di disoccupazione ad hoc per i «co.co.co.», in forma una tantum. Accantonata la proroga della detassazione degli straordinari, sale a 35mila euro la soglia per la proroga della detassazione del salario e dei premi di produttività.Tra le novità dell'ultima ora, i fondi per la sicurezza delle scuole, quelli per l'edilizia carceraria, la stretta del fisco sui circoli e società sportive dilettantistiche e gli incentivi per favorire il rientro in Italia dei "cervelli", ovvero dei ricercatori residenti all'estero, (imponibilità fiscale limitata al 10%).Quanto alle imprese, scattano l'Iva di cassa e la deduzione del 10% dell'Irap ai fini Ires per la componente relativa al costo del lavoro. Prevista poi l'abolizione del tetto del 15% relativo alla presenza delle aziende nelle banche. Il decreto, che dà anche il via allo sblocco dei rimborsi Iva ultradecennali per un valore di oltre 6 miliardi, contiene pure un capitolo anti-evasione. Con l'incremento dei controlli del Fisco sulle grandi imprese (società con giro d'affari superiore ai 300 milioni di euro annui). Vengono inoltre introdotte mini-sanzioni per chi aderisce agli inviti del Fisco. Scatterà anche una revisione degli studi di settore. Infine, in aggiunta agli interventi per velocizzare la realizzaizione delle infrastrtture, il decreto introduce la detassazione in favore dei soggetti che si faranno carico della realizzazione di micro-progetti di arredo urbano (restyling di piazze e giardinetti). fonte:www.ilsole24ore.it
venerdì 14 novembre 2008
Anche il lavoro saltuario può essere subordinato
I dipendenti impiegati “a chiamata” e con ritenuta d’acconto possono avere diritto ai contributi. (Cassazione 31388/2008)
Mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e sottostare alle disposizioni dei superiori può significare l’inserimento nell’organizzazione aziendale, così da configurare un rapporto di lavoro subordinato e non autonomo. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione confermando una sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva riconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro di quattro lavoratori impiegati saltuariamente in un’azienda di trasporti. I giudici avevano accertato che le prestazioni dei dipendenti erano state saltuarie e senza vincolo di restare a disposizione del datore di lavoro tra l’una e l’altra, con la possibilità di rifiutare, qualora chiamati, la prestazione (c.d. “lavoro a chiamata”). I lavoratori, però, utilizzati per scaricare i camion e per aiutare il magazziniere, dovevano presentarsi al magazzino nei giorni della prestazione nell’ora stabilita dal responsabile, con l’obbligo di osservarne le disposizioni e con la possibilità di utilizzare i mezzi aziendali per effettuare il lavoro, mentre, sui compensi corrisposti, veniva applicata la ritenuta d’acconto. La Suprema Corte, condividendo le conclusioni dei giudici di merito, ha affermato che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento, e che l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale “disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, mentre altri elementi, come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, possono avere, invece, valore indicativo ma mai determinante”. In buona sostanza, il lavoro saltuario non esclude di per sé l’esistenza di un rapporto di subordinazione.
Mettere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e sottostare alle disposizioni dei superiori può significare l’inserimento nell’organizzazione aziendale, così da configurare un rapporto di lavoro subordinato e non autonomo. Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione confermando una sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva riconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro di quattro lavoratori impiegati saltuariamente in un’azienda di trasporti. I giudici avevano accertato che le prestazioni dei dipendenti erano state saltuarie e senza vincolo di restare a disposizione del datore di lavoro tra l’una e l’altra, con la possibilità di rifiutare, qualora chiamati, la prestazione (c.d. “lavoro a chiamata”). I lavoratori, però, utilizzati per scaricare i camion e per aiutare il magazziniere, dovevano presentarsi al magazzino nei giorni della prestazione nell’ora stabilita dal responsabile, con l’obbligo di osservarne le disposizioni e con la possibilità di utilizzare i mezzi aziendali per effettuare il lavoro, mentre, sui compensi corrisposti, veniva applicata la ritenuta d’acconto. La Suprema Corte, condividendo le conclusioni dei giudici di merito, ha affermato che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento, e che l'elemento tipico che contraddistingue il primo dei suddetti tipi di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa quale “disponibilità del prestatore nei confronti del datore di lavoro con assoggettamento alle direttive da questo impartite circa le modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, mentre altri elementi, come l'osservanza di un orario, l'assenza di rischio economico, la forma di retribuzione e la stessa collaborazione, possono avere, invece, valore indicativo ma mai determinante”. In buona sostanza, il lavoro saltuario non esclude di per sé l’esistenza di un rapporto di subordinazione.
lunedì 6 ottobre 2008
Cassazione: sì al cognome della madre ai figli
I giudici di piazza Cavour: "Tempi maturi. Uniformarsi al Trattato di Lisbona".
Gli ermellini chiedono al primo presidente della Suprema Corte di poter applicare direttamente la norma rispettando la scelta dei genitori .
(Adnkronos) - Sono maturi i tempi per dare ai figli legittimi il cognome della madre. Lo ribadisce la Cassazione in una sentenza della prima sezione civile (n. 23934) con la quale chiede addirittura al primo presidente della Suprema Corte di poter in un certo qual modo colmare il vuoto normativo e dare la possibilità ai giudici di fare sì che, se i genitori lo vogliono, i figli possano avere il cognome della madre anziché quello del padre. Diversamente, scrivono i supremi giudici, "se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell'attività interpretativa la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale". In effetti, rilevano i giudici di piazza Cavour, che i tempi siano maturi per dare ai figli il cognome della madre lo imporrebbe anche "la mutata situazione della giurisprudenza costituzionale" e il "probabile mutamento delle norme comunitarie". Ad indurre la Cassazione ad intervenire nuovamente sul cognome da dare ai figli, il caso di una coppia di Milano, Alessandra C. e Luigi F., che per ben due gradi di giudizio si erano visti negare la possibilità di attribuire al figlio minore Guido, nato nel giugno del 2003, il cognome della madre. In particolare la Corte d'Appello di Milano, nel febbraio 2007, imponendo il cognome paterno aveva rilevato il vuoto normativo evidenziando la "persistente validità alla norma consuetudinaria che impone al figlio legittimo il cognome paterno". Contro il doppio no dei giudici la coppia milanese ha fatto ricorso alla Cassazione. Ed ora la Suprema Corte, accogliendo la rivendicazione dei genitori, chiede con insistenza al primo presidente di poter decidere direttamente. Del resto, rilevano i giudici della prima sezione civile, a far ritenere che siano maturi i tempi per dare ai figli il cognome della madre vi sono numerose pronunce. Non solo della Corte costituzionale che, nel 2006, aveva stabilito che "il sistema di attribuzioni del cognome non è più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna". Sulla stessa lunghezza d'onda vi è pure una decisione adottata nel dicembre 2007 dai capi di Stato e di governo dei 27 capi della Ue e vi è pure la ratifica del Trattato di Lisbona dello scorso 2 agosto. Da ultimo, concludono gli ermellini, vi sono pure delle pronunce della stessa Corte di cassazione che per ben due volte ha "implicitamente sollecitato un intervento del legislatore che, pur avendo affrontato il tema da ormai quasi un trentennio non è ancora pervenuto a soluzioni concrete".
Gli ermellini chiedono al primo presidente della Suprema Corte di poter applicare direttamente la norma rispettando la scelta dei genitori .
(Adnkronos) - Sono maturi i tempi per dare ai figli legittimi il cognome della madre. Lo ribadisce la Cassazione in una sentenza della prima sezione civile (n. 23934) con la quale chiede addirittura al primo presidente della Suprema Corte di poter in un certo qual modo colmare il vuoto normativo e dare la possibilità ai giudici di fare sì che, se i genitori lo vogliono, i figli possano avere il cognome della madre anziché quello del padre. Diversamente, scrivono i supremi giudici, "se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell'attività interpretativa la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale". In effetti, rilevano i giudici di piazza Cavour, che i tempi siano maturi per dare ai figli il cognome della madre lo imporrebbe anche "la mutata situazione della giurisprudenza costituzionale" e il "probabile mutamento delle norme comunitarie". Ad indurre la Cassazione ad intervenire nuovamente sul cognome da dare ai figli, il caso di una coppia di Milano, Alessandra C. e Luigi F., che per ben due gradi di giudizio si erano visti negare la possibilità di attribuire al figlio minore Guido, nato nel giugno del 2003, il cognome della madre. In particolare la Corte d'Appello di Milano, nel febbraio 2007, imponendo il cognome paterno aveva rilevato il vuoto normativo evidenziando la "persistente validità alla norma consuetudinaria che impone al figlio legittimo il cognome paterno". Contro il doppio no dei giudici la coppia milanese ha fatto ricorso alla Cassazione. Ed ora la Suprema Corte, accogliendo la rivendicazione dei genitori, chiede con insistenza al primo presidente di poter decidere direttamente. Del resto, rilevano i giudici della prima sezione civile, a far ritenere che siano maturi i tempi per dare ai figli il cognome della madre vi sono numerose pronunce. Non solo della Corte costituzionale che, nel 2006, aveva stabilito che "il sistema di attribuzioni del cognome non è più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna". Sulla stessa lunghezza d'onda vi è pure una decisione adottata nel dicembre 2007 dai capi di Stato e di governo dei 27 capi della Ue e vi è pure la ratifica del Trattato di Lisbona dello scorso 2 agosto. Da ultimo, concludono gli ermellini, vi sono pure delle pronunce della stessa Corte di cassazione che per ben due volte ha "implicitamente sollecitato un intervento del legislatore che, pur avendo affrontato il tema da ormai quasi un trentennio non è ancora pervenuto a soluzioni concrete".
martedì 9 settembre 2008
Cassazione: accertamento imposte. E' legittimo il controllo del conto corrente del contribuente anche in assenza di preventivo interpello.
E' legittimo l'accertamento induttivo sui conti correnti bancari del contribuente anche se questo non è stato preventivamente interpellato. E' quanto deciso dalla Sezione Tributaria della Corte di Cassazione (Sent. n. 2026872008). In particolare, gli Ermellini, nella sentenza hanno precisato che "l'attività dell'amministrazione finanziaria, avendo natura amministrativa, non è retta dal principio del contraddittorio, sì che l'art. 51, secondo comma, n. 2, del precitato d.P.R., nel prevedere la convocazione del soggetto che esercita l'impresa con l'invito al medesimo a fornire dati, notizie e chiarimenti in ordine alle operazioni annotate nei conti bancari, attribuisce all'Amministrazione una facoltà discrezionale e non un obbligo, con l'ulteriore conseguenza che il mancata esercizio di tale facoltà non trasforma in presunzione semplice la presunzione legale che riferisce i movimenti bancari all'attività svolta dal contribuente, su cui grava perciò l'onere della prova contraria in sede contenziosa, a norma dell'art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546" e che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima l'utilizzazione da parte dell'amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, anche in assenza di preventivo interpello dell'interessato sulle operazioni bancarie oggetto di verifica e di verbalizzazione delle correlative dichiarazioni, posto che nessuna norma sancisce l'obbligo dell'Ufficio della preventiva convocazione del contribuente".
Enel: Consumatori promuovono class action per vittime dell'elettrosmog
Sulla base di una recente sentenza della Corte di Cassazione l'Enel dovrà risarcire i danni alla salute provocati da un elettrodotto a due agricoltori di Rimini. I danni sarebbero stati causati dalle onde elettromagnetiche generate da tralicci che attraversavano i loro terreni. I due agricoltori avevano iniziato a soffrire di emicrania ed avevano quindi chiesto il risarcimento dei danni. ''Una clamorosa sentenza" commenta il Codacons in una nota " che apre la strada a risarcimenti milionari". E' la prima volta infatti che "la Corte di Cassazione si pronuncia incriminando la nocivita' delle onde elettromagnetiche in relazione a patologie come il mal di testa, considerate minori e passeggere''. Una vittoria di grande rilievo - commenta il presidente del Codacons - che "salvaguardia, riconosce e tutela il piu' importante dei diritti, quello alla salute. Dopo la sentenza della Cassazione che ha riconosciuto l'ipotesi di reato per le onde elettromagnetiche prodotte da Radio Vaticana, questa nuova condanna della Suprema corte apre la possibilita' a chiunque ne sia stato vittima di richiedere un indennizzo''.
giovedì 28 agosto 2008
Multa per i pub che diffondono musica all’aperto
Per accertare il reato è sufficiente l’intervento sul luogo della polizia o dei carabinieri
(Cassazione 25716/2008)
Rischiano una multa i gestori dei locali notturni che mettono gli impianti di diffusione della musica all’esterno del locale durante le ore notturne. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva condannato il gestore di un pub della città siciliana a 300 euro di ammenda per il reato di disturbo della quiete pubblica per aver diffuso musica ad alto volume all’esterno del locale. Le forze dell’ordine avevano in più di una occasione verificato la presenza di un musicista che suonava la pianola elettrica fuori del locale e che, sempre all’esterno, erano state posizionate casse acustiche delle dimensioni di un metro e quaranta centimetri, che diffondevano la musica anche a cento metri di distanza. Il gestore si era difeso in Cassazione sostenendo che mancavano sia la misurazione dell’intensità del rumore che la specifica denuncia dei cittadini disturbati. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, ha affermato che il reato contestato non richiede alcun superamento di soglie predeterminate purché la condotta sia idonea ad arrecare disturbo ad una serie indeterminata di persone, ed è del tutto irrilevante che una serie indeterminata di persone si sia lamentata effettivamente, basta però che la condotta sia in sé idonea ad arrecare disturbo; infatti, “utilizzare un pub per trasmettere musica, anche dal vivo, con impianti di diffusione ad alto volume in piena notte collocati all'esterno del locale, è condotta certamente idonea ad arrecare disturbo ad una serie indeterminata di persone, per la collocazione in centro abitato”. Per certificare l’illecito e comminare la multa è infine sufficiente l’accertamento degli organi di polizia giudiziaria, polizia o carabinieri, intervenuti sul luogo, che provi la presenza di impianti di diffusione esterni al locale.
(Cassazione 25716/2008)
Rischiano una multa i gestori dei locali notturni che mettono gli impianti di diffusione della musica all’esterno del locale durante le ore notturne. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una sentenza del Tribunale di Agrigento che aveva condannato il gestore di un pub della città siciliana a 300 euro di ammenda per il reato di disturbo della quiete pubblica per aver diffuso musica ad alto volume all’esterno del locale. Le forze dell’ordine avevano in più di una occasione verificato la presenza di un musicista che suonava la pianola elettrica fuori del locale e che, sempre all’esterno, erano state posizionate casse acustiche delle dimensioni di un metro e quaranta centimetri, che diffondevano la musica anche a cento metri di distanza. Il gestore si era difeso in Cassazione sostenendo che mancavano sia la misurazione dell’intensità del rumore che la specifica denuncia dei cittadini disturbati. La Suprema Corte, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato, ha affermato che il reato contestato non richiede alcun superamento di soglie predeterminate purché la condotta sia idonea ad arrecare disturbo ad una serie indeterminata di persone, ed è del tutto irrilevante che una serie indeterminata di persone si sia lamentata effettivamente, basta però che la condotta sia in sé idonea ad arrecare disturbo; infatti, “utilizzare un pub per trasmettere musica, anche dal vivo, con impianti di diffusione ad alto volume in piena notte collocati all'esterno del locale, è condotta certamente idonea ad arrecare disturbo ad una serie indeterminata di persone, per la collocazione in centro abitato”. Per certificare l’illecito e comminare la multa è infine sufficiente l’accertamento degli organi di polizia giudiziaria, polizia o carabinieri, intervenuti sul luogo, che provi la presenza di impianti di diffusione esterni al locale.
Lecito per i “Rasta” fumare marijuana
Il consumo di “erba sacra” per motivi religiosi è indicativo di un uso strettamente personale
(Cassazione 28720/2008)
Gli adepti della religione rastafariana possono fumare marijuana anche in quantità superiore alla soglia consentita dalla legge. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione annullando con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Perugia che aveva confermato il giudizio di primo grado ribadendo la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di illecita detenzione al fine di spaccio di marijuana, ritenendo che, a prescindere dalla religione cosidetta rastafariana della quale l’imputato si era dichiarato adepto, e, come tale, solito al consumo della sostanza stupefacente, non era comprovato il possesso della droga per esclusivo uso personale, stante la quantità della sostanza in suo possesso. L’uomo era stato sorpreso a dormire a bordo della sua auto ed aveva consegnato spontaneamente agli agenti una busta di marijuana precisando subito che il possesso di tale erba, prelevata da dietro il sedile della vettura, era da lui destinato ad esclusivo uso personale, secondo la pratica suggerita dalla religione rastafariana di cui si era detto adepto. La Suprema Corte, rinviando la questione alla Corte di Appello di Firenze per un nuovo esame della questione, ha sottolineato che, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale,ma anche come “erba meditativa”, come tale “possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che “la erba sacra” sia cresciuta sulla tomba di re Salomone,chiamato il Re saggio e da esso ne tragga la forza,come,si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione”.
(Cassazione 28720/2008)
Gli adepti della religione rastafariana possono fumare marijuana anche in quantità superiore alla soglia consentita dalla legge. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione annullando con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Perugia che aveva confermato il giudizio di primo grado ribadendo la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di illecita detenzione al fine di spaccio di marijuana, ritenendo che, a prescindere dalla religione cosidetta rastafariana della quale l’imputato si era dichiarato adepto, e, come tale, solito al consumo della sostanza stupefacente, non era comprovato il possesso della droga per esclusivo uso personale, stante la quantità della sostanza in suo possesso. L’uomo era stato sorpreso a dormire a bordo della sua auto ed aveva consegnato spontaneamente agli agenti una busta di marijuana precisando subito che il possesso di tale erba, prelevata da dietro il sedile della vettura, era da lui destinato ad esclusivo uso personale, secondo la pratica suggerita dalla religione rastafariana di cui si era detto adepto. La Suprema Corte, rinviando la questione alla Corte di Appello di Firenze per un nuovo esame della questione, ha sottolineato che, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale,ma anche come “erba meditativa”, come tale “possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che “la erba sacra” sia cresciuta sulla tomba di re Salomone,chiamato il Re saggio e da esso ne tragga la forza,come,si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione”.
lunedì 25 agosto 2008
Libretti postali dormienti estinti il 26 agosto 2008
I titolati potranno rivolgersi alle Poste o, se all'estero, ai consolati o ai patronati locali
(Nota Poste Italiane - Dpr 116/2007 e Legge 266/2005)
I titolari di libretti di risparmio postale dormienti non movimentati da dieci anni con saldo superiore ai 100 euro devono comunicare entro il 26 agosto 2008 le proprie disposizioni (continuare il rapporto o interromperlo) altrimenti le Poste procederanno all'estinzione del conto e le somme saranno devolute (come stabilito dalla legge 266 del 2005) per l'80% al Fondo speciale per le vittime di crack finanziari e per il restante 20% alla regolarizzazione dei precari della pubblica amministrazione. Perché il termine del 26 agosto? Perché il 28 febbraio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'avviso al pubblico per l'applicazione della norma sui depositi dormienti ai libretti di risparmio. Di conseguenza, il termine dei 180 giorni utili al titolare del rapporto per impartire disposizioni o ritirare i soldi scade, circa sei mesi dopo - come prescrive il dpr 116 del 2007 - il 26 agosto. Il libretto è diffuso sopratutto tra gli anziani e gli emigrati all'estero. Questi ultimi, invece di rivolgersi agli uffici postali (come potranno fare tutti i residenti in Italia) è stato infatti predisposto e diramato alle sedi consolari un apposito modulo di dichiarazione da compilare e trasmettere, insieme alla fotocopia di un documento di identità e del codice fiscale, direttamente a: Poste Italiane SpA, Business Unit BancoPosta, Operazioni - Servizio Risparmi, Via di Tor Pagnotta 2, 00143, Roma, oppure tramite il consolato generale o i locali uffici dei patronati, entro il 25 agosto 2008.
******************
Poste Italiane - Depositi "dormienti" - D.P.R. 22 giugno 2007 n. 116 - Regolamento di attuazione dell'art. 1, c. 345, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 in materia di depositi dormienti.
Il Regolamento in materia di depositi dormienti (Decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 2007 n. 116, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 2 agosto 2007), entrato in vigore il 17 agosto 2007, prevede che:
sono considerati "dormienti" i depositi di somme di denaro, i depositi di strumenti finanziari in custodia ed amministrazione e i contratti di assicurazione di cui all'art. 2, c. 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Ramo Vita), in tutti i casi in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario ad una data prefissata, con saldo superiore a 100 euro, in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme o degli strumenti finanziari;
decorso il suddetto termine il deposito "dormiente" deve essere estinto, ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 116/2007, salvo che, entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione da parte dell'intermediario, il titolare non effettui un'operazione o movimentazione (come tale si intende anche la comunicazione espressa alla Banca di voler proseguire nel rapporto). Le somme depositate saranno, quindi, trasferite ad un Fondo pubblico (il fondo di cui all'art. 1 comma 343 della L. 266/2005).
(Nota Poste Italiane - Dpr 116/2007 e Legge 266/2005)
I titolari di libretti di risparmio postale dormienti non movimentati da dieci anni con saldo superiore ai 100 euro devono comunicare entro il 26 agosto 2008 le proprie disposizioni (continuare il rapporto o interromperlo) altrimenti le Poste procederanno all'estinzione del conto e le somme saranno devolute (come stabilito dalla legge 266 del 2005) per l'80% al Fondo speciale per le vittime di crack finanziari e per il restante 20% alla regolarizzazione dei precari della pubblica amministrazione. Perché il termine del 26 agosto? Perché il 28 febbraio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l'avviso al pubblico per l'applicazione della norma sui depositi dormienti ai libretti di risparmio. Di conseguenza, il termine dei 180 giorni utili al titolare del rapporto per impartire disposizioni o ritirare i soldi scade, circa sei mesi dopo - come prescrive il dpr 116 del 2007 - il 26 agosto. Il libretto è diffuso sopratutto tra gli anziani e gli emigrati all'estero. Questi ultimi, invece di rivolgersi agli uffici postali (come potranno fare tutti i residenti in Italia) è stato infatti predisposto e diramato alle sedi consolari un apposito modulo di dichiarazione da compilare e trasmettere, insieme alla fotocopia di un documento di identità e del codice fiscale, direttamente a: Poste Italiane SpA, Business Unit BancoPosta, Operazioni - Servizio Risparmi, Via di Tor Pagnotta 2, 00143, Roma, oppure tramite il consolato generale o i locali uffici dei patronati, entro il 25 agosto 2008.
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Poste Italiane - Depositi "dormienti" - D.P.R. 22 giugno 2007 n. 116 - Regolamento di attuazione dell'art. 1, c. 345, della legge 23 dicembre 2005 n. 266 in materia di depositi dormienti.
Il Regolamento in materia di depositi dormienti (Decreto del Presidente della Repubblica del 22 giugno 2007 n. 116, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 178 del 2 agosto 2007), entrato in vigore il 17 agosto 2007, prevede che:
sono considerati "dormienti" i depositi di somme di denaro, i depositi di strumenti finanziari in custodia ed amministrazione e i contratti di assicurazione di cui all'art. 2, c. 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Ramo Vita), in tutti i casi in cui l'assicuratore si impegna al pagamento di una rendita o di un capitale al beneficiario ad una data prefissata, con saldo superiore a 100 euro, in relazione ai quali non sia stata effettuata alcuna operazione o movimentazione ad iniziativa del titolare del rapporto o di terzi da questo delegati per il periodo di tempo di 10 anni decorrenti dalla data di libera disponibilità delle somme o degli strumenti finanziari;
decorso il suddetto termine il deposito "dormiente" deve essere estinto, ai sensi dell'art. 3 del D.P.R. 116/2007, salvo che, entro il termine di 180 giorni dalla comunicazione da parte dell'intermediario, il titolare non effettui un'operazione o movimentazione (come tale si intende anche la comunicazione espressa alla Banca di voler proseguire nel rapporto). Le somme depositate saranno, quindi, trasferite ad un Fondo pubblico (il fondo di cui all'art. 1 comma 343 della L. 266/2005).
sabato 2 agosto 2008
La norma anti-precari approvata
Al posto del reintegro un indennizzo.
(Articolo 21 Ddl Senato 949).
Al posto del reintegro un indennizzo tra 2,5 e 6 volte l'ultima retribuzione, questo il senso dell'emendamento sotto accusa alla manovra economica passato alla Camera. L'emendamento, proposto dai deputati Massimo Corsaro e Marco Marsilio (Pdl-An), sta spaccando anche il Governo. Modificare la norma che, secondo i presentatori, salverebbe il bilancio delle Poste da 25mila ricorsi di precari, significherebbe una terza lettura del provvedimento alla Camera. La norma originale ormai nota come "anti-precari" era anche peggio: è stata perfino temperata dall'intervento del ministro del Welfare Maurizio Sacconi: il comma 1-quater prevede che le disposizioni "si applicano solo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
*******
La Camera ha aggiunto all'articolo i commi da 1-bis a 1-quater Ddl Senato 949 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria
(...)
Il testo aggiunto è quello in corsivo
Articolo 21.
(Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato).
1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo le parole «tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» sono aggiunte le seguenti: «, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro».
1-bis. L’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si interpreta nel senso che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo sono determinate da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico. 1-ter. Dopo l’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 sono aggiunti i seguenti articoli:
«Art. 4-bis. – (Indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). – 1. In caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni ».
1-quater. Fatte salve salve le sentenze passate in giudicato, le disposizioni recate dall’articolo 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal comma 1-ter del presente articolo, si applicano solo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
2. All’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall’articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti» sono inserite le seguenti:
«e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
3. All’articolo 5, comma 4-quater, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall’articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ha diritto di precedenza» sono inserite le seguenti: «, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente piu` rappresentative sul piano nazionale,».
3-bis. Le disposizioni recate dall’articolo 5, commi 2, 3, 4 e 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che la conversione a tempo indeterminato del rapporto ivi prevista si applica esclusivamente alle fattispecie regolate dalle medesime disposizioni, trovando applicazione nei casi di violazione degli articoli 1, 2 e 4, del medesimo decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, l’articolo 1419, primo comma, del codice civile.
4. Decorsi 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni contenute nei commi che precedono e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza.
(...)
(Articolo 21 Ddl Senato 949).
Al posto del reintegro un indennizzo tra 2,5 e 6 volte l'ultima retribuzione, questo il senso dell'emendamento sotto accusa alla manovra economica passato alla Camera. L'emendamento, proposto dai deputati Massimo Corsaro e Marco Marsilio (Pdl-An), sta spaccando anche il Governo. Modificare la norma che, secondo i presentatori, salverebbe il bilancio delle Poste da 25mila ricorsi di precari, significherebbe una terza lettura del provvedimento alla Camera. La norma originale ormai nota come "anti-precari" era anche peggio: è stata perfino temperata dall'intervento del ministro del Welfare Maurizio Sacconi: il comma 1-quater prevede che le disposizioni "si applicano solo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto".
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La Camera ha aggiunto all'articolo i commi da 1-bis a 1-quater Ddl Senato 949 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria
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Il testo aggiunto è quello in corsivo
Articolo 21.
(Modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato).
1. All'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dopo le parole «tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo» sono aggiunte le seguenti: «, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro».
1-bis. L’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 si interpreta nel senso che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo sono determinate da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico. 1-ter. Dopo l’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 sono aggiunti i seguenti articoli:
«Art. 4-bis. – (Indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). – 1. In caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto ad indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni ».
1-quater. Fatte salve salve le sentenze passate in giudicato, le disposizioni recate dall’articolo 4-bis del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, introdotto dal comma 1-ter del presente articolo, si applicano solo ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
2. All’articolo 5, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall’articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ferma restando la disciplina della successione di contratti di cui ai commi precedenti» sono inserite le seguenti:
«e fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
3. All’articolo 5, comma 4-quater, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dall’articolo 1, comma 40, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dopo le parole «ha diritto di precedenza» sono inserite le seguenti: «, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente piu` rappresentative sul piano nazionale,».
3-bis. Le disposizioni recate dall’articolo 5, commi 2, 3, 4 e 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che la conversione a tempo indeterminato del rapporto ivi prevista si applica esclusivamente alle fattispecie regolate dalle medesime disposizioni, trovando applicazione nei casi di violazione degli articoli 1, 2 e 4, del medesimo decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, l’articolo 1419, primo comma, del codice civile.
4. Decorsi 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali procede ad una verifica, con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, degli effetti delle disposizioni contenute nei commi che precedono e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza.
(...)
martedì 15 luglio 2008
Cassazione: vessazioni sul posto di lavoro sono maltrattamenti
Le vessazioni sul posto di lavoro possono costare al capoufficio una condanna per maltrattamenti in famiglia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27469 del 7 luglio 2008 in relazione a un caso di vessazioni e violenza sessuale. Nella sentenza si legge che "l'articolo 572 del vigente codice penale, rispetto all'analoga norma contenuta nel codice del 1989, ha ampliato la categoria delle persone che possono essere vittima di maltrattamenti, aggiungendo nella previsione normativa ogni persona sottoposta all'autorità dell'agente, ovvero al medesimo affidata per ragioni d'istruzione, educazione, ecc. Sussiste il rapporto d'autorità ogni qualvolta una persona dipenda da altra mediante un vincolo di soggezione particolare (ricovero, carcerazione, rapporto di lavoro subordinato, ecc.)". Per la Corte dunque "il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato (...) pone quest'ultimo nella condizione, specificamente prevista dalla norma penale testé richiamata di "persona sottoposta alla sua autorità", il che, sussistendo gli altri elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente". "La fattispecie in esame - scrive la Corte - a differenza del maltrattamento in famiglia non richiede la convivenza ma la semplice sussistenza di un rapporto continuativo. In definitiva, gli atti vessatori,che possono essere costituti anche da molestie o abusi sessuali, nell'ambiente di lavoro, oltre al cosiddetto fenomeno del mobbing, risarcibile in sede civile, nei casi più gravi, possono configurare anche il delitto di maltrattamenti". Fonte: www.helpconsumatori.it
Cassazione: vessazioni e minacce ai dipendenti? Datore di lavoro può essere allontanato dalla città
D'ora in avanti il datore di lavoro che sottopone a vessazioni e minacce i propri dipendenti rischia l'allontanamento dalla città in cui ha sede la sua azienda. Parola di Cassazione. I Giudici del Palazzaccio infatti hanno confermato la misura coercitiva del divieto di dimora nei confronti di due datori di lavoro che sottopagavano i propri dipendenti, minacciandoli di licenziamento nel caso in cui avessero deciso di denunciare i fatti. Secondo la Corte (Sentenza 28682/2008 della II sezione penale) un comportamento del genere configura reato di estorsione aggravata e continuata e pertanto l'allontanamento dalla citta' e' una misura "adeguata, siccome l'unica idonea a recidere il legame degli indagati con l'ambiente lavorativo". I due datori erano stati scoperti attraverso delle intercettazioni da cui era emerso che gli indagati avevano la consuetudine "di pagare i dipendenti con gli assegni, salvo poi farsi restituire la differenza al fine di rendere piu' difficoltosa l'acquisizione di documentazione afferente la condotta illecita". Questo comportamento e' andato avanti per lungo tempo giacché i dipendendi avevano preferito sottostare alla minaccia vista la difficoltà a trovare altre opportunita' di lavoro. Alla fine vi è stata una denuncia collettiva che ha portato alla misura coercitiva del divieto di dimora. Inutile il ricorso in Cassazione. Piazza Cavour ha ribadito la legittimità del provvedimento ricordando che "nel caso in cui il datore di lavoro realizzi una serie di comportamenti estorsivi nei confronti di proprie lavoratrici dipendenti, costringendole ad accettare trattamenti retributivi deteriori e non corrispondenti alle prestazioni effettuate e, in genere, condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi, approfittando della situazione di mercato in cui la domanda di lavoro era di gran lunga superiore all'offerta e quindi, ponendo le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivale a perdere il posto di lavoro, e' configurabile il delitto di estorsione" previsto e punito dall'art. 629 C. p.. In tal caso dunque il datore di lavoro rischia di essere cacciato dalla citta' in attesa del processo.
fonte: http://www.studiocataldi.it/
fonte: http://www.studiocataldi.it/
martedì 1 luglio 2008
No del Parlamento europeo al pollo al cloro
Una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici disapprova la proposta della Commissione
(Risoluzione PE 19.6.2008)
No al “pollo al cloro” in Europa. Con una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici approvata il 19 giugno 2008 con 526 voti favorevoli, 27 contrari e 11 astensioni, il Parlamento europeo disapprova la proposta della Commissione di autorizzare la commercializzazione per il consumo umano di pollame che ha subito un trattamento antimicrobico e chiede al Consiglio dei Ministri di respingerla. La proposta della Commissione fa seguito alla domanda degli Stati Uniti di autorizzare l’importazione nell’Unione europea della sua produzione di pollame trattato con sostanze chimiche o antimicrobiche. Ma autorizzare il trattamento antimicrobico, anche se solo limitatamente ai prodotti importati, rappresenterebbe, secondo il Parlamento di Strasburgo, una grave minaccia per le norme e gli standard comunitari e contrasterebbe gli sforzi realizzati nell’UE per ridurre i tassi d’infezione batterica nel settore del pollame. Il processo di decontaminazione adottato dagli USA che prevede l’utilizzo di sostanze antimicrobiche alla fine della catena di produzione alimentare non corrisponde all’approccio praticato nell’Unione europea che tende a ridurre i livelli di agenti patogeni nelle carni di pollame coinvolgendo l’intera catena alimentare. L’utilizzo di tali sostanze, inoltre, potrebbe risultare fuorviante per i consumatori in quanto il processo di clorinazione potrebbe alterare l’aspetto della carne per farla apparire piu’ fresca di quanto non sia, minando in tal modo la fiducia nei prodotti alimentari europei.
(Risoluzione PE 19.6.2008)
No al “pollo al cloro” in Europa. Con una risoluzione sostenuta da tutti i gruppi politici approvata il 19 giugno 2008 con 526 voti favorevoli, 27 contrari e 11 astensioni, il Parlamento europeo disapprova la proposta della Commissione di autorizzare la commercializzazione per il consumo umano di pollame che ha subito un trattamento antimicrobico e chiede al Consiglio dei Ministri di respingerla. La proposta della Commissione fa seguito alla domanda degli Stati Uniti di autorizzare l’importazione nell’Unione europea della sua produzione di pollame trattato con sostanze chimiche o antimicrobiche. Ma autorizzare il trattamento antimicrobico, anche se solo limitatamente ai prodotti importati, rappresenterebbe, secondo il Parlamento di Strasburgo, una grave minaccia per le norme e gli standard comunitari e contrasterebbe gli sforzi realizzati nell’UE per ridurre i tassi d’infezione batterica nel settore del pollame. Il processo di decontaminazione adottato dagli USA che prevede l’utilizzo di sostanze antimicrobiche alla fine della catena di produzione alimentare non corrisponde all’approccio praticato nell’Unione europea che tende a ridurre i livelli di agenti patogeni nelle carni di pollame coinvolgendo l’intera catena alimentare. L’utilizzo di tali sostanze, inoltre, potrebbe risultare fuorviante per i consumatori in quanto il processo di clorinazione potrebbe alterare l’aspetto della carne per farla apparire piu’ fresca di quanto non sia, minando in tal modo la fiducia nei prodotti alimentari europei.
Chi tradisce in casa perde i beni ricevuti dal coniuge
Un atteggiamento irriguardoso giustifica la revocazione delle donazioni
(Cassazione 14093/2008)
Chi tradisce il coniuge con l’amante nella casa coniugale può perdere tutti i beni e le proprietà che il coniuge gli ha cointestato. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione che ha confermato la revocazione per ingratitudine dei beni donati da un signore alla moglie che lo tradiva nella casa coniugale con un giovane partner. L’infedeltà della moglie venne scoperta dal marito più di trenta anni fa, quando la moglie aveva trentasei anni e tradiva il marito con un ventitreenne, incontrandolo nella casa coniugale per diversi anni, fino a quando aveva abbandonato la famiglia per andare a vivere con il nuovo compagno. Per questo la Corte di Appello di Messina le aveva revocato la comproprietà dei beni intestatigli dal marito. La moglie aveva proposto ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza. La Suprema Corte, confermando la sentenza di appello, ha sottolineato che appariva giustificata la revocazione delle c.d. “donazioni indirette” per ingratitudine ai sensi dell’art.801 del codice civile (che parla di “ingiuria grave”), in quanto “l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 quale presupposto della revocazione consiste in un comportamento con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, sì da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato l'agente, che ripugna alla coscienza comune”; ciò che costituiva ingiuria grave quindi “non era tanto l'infedeltà coniugale della ricorrente, la quale all'età di trentasei anni, già madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventitreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell'abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale”.
(Cassazione 14093/2008)
Chi tradisce il coniuge con l’amante nella casa coniugale può perdere tutti i beni e le proprietà che il coniuge gli ha cointestato. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione che ha confermato la revocazione per ingratitudine dei beni donati da un signore alla moglie che lo tradiva nella casa coniugale con un giovane partner. L’infedeltà della moglie venne scoperta dal marito più di trenta anni fa, quando la moglie aveva trentasei anni e tradiva il marito con un ventitreenne, incontrandolo nella casa coniugale per diversi anni, fino a quando aveva abbandonato la famiglia per andare a vivere con il nuovo compagno. Per questo la Corte di Appello di Messina le aveva revocato la comproprietà dei beni intestatigli dal marito. La moglie aveva proposto ricorso in Cassazione per chiedere l’annullamento della sentenza. La Suprema Corte, confermando la sentenza di appello, ha sottolineato che appariva giustificata la revocazione delle c.d. “donazioni indirette” per ingratitudine ai sensi dell’art.801 del codice civile (che parla di “ingiuria grave”), in quanto “l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 quale presupposto della revocazione consiste in un comportamento con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di ledere gravemente il patrimonio morale della persona, sì da rilevare un sentimento di avversione che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficiato l'agente, che ripugna alla coscienza comune”; ciò che costituiva ingiuria grave quindi “non era tanto l'infedeltà coniugale della ricorrente, la quale all'età di trentasei anni, già madre di tre figli, aveva intessuto una relazione con un ventitreenne, protrattasi clandestinamente per vari anni e sfociata nell'abbandono della famiglia per convivere con il nuovo compagno, quanto l'atteggiamento complessivamente adottato, menzognero e irriguardoso verso il marito, all'insaputa del quale la ricorrente si univa con l'amante nell'abitazione coniugale”.
lunedì 23 giugno 2008
Co.co.pro, state attenti ai rinnovi
Circolare del ministero per gli ispettori: se il progetto è identico c'è un forte indizio di subordinazione. Poco compatibili baristi, facchini e commesse. Ma il contratto «atipico» resta confermato .
Il ministero del lavoro è tornato sulla questione cocoprò, uno dei temi «caldi» che ha caratterizzato l'ultimo governo, soprattutto dopo la circolare del 2006 sui call center e l'ispezione in Atesia. Non è intervenuta la cancellazione del contratto ambiguo per eccellenza e dove si annida quasi sempre una forma di sfruttamento, ma in base al recente Protocollo sul welfare si è deciso di dare una stretta sui possibili abusi. Il 29 gennaio il ministero ha dunque emesso la Circolare numero 4, indirizzata agli ispettori del lavoro, che intende però fare anche da «monito» e da indicazione per i datori di lavoro (gli ispettori, per quanto numerosi, non potranno mai battere a tappeto i sei milioni di imprese italiane). Ma attenzione: non si tratta di una legge, è un regolamento su come effettuare le ispezioni.
Salta all'occhio u n elenco contenuto alla fine della circolare, che riporta «quelle attività che l'esperienza ispettiva ha ritenuto difficilmente compatibili, nel concreto, con il regime di autonomia che deve caratterizzare» il lavoro a progetto. Eccole: addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici; addetti alle agenzie ippiche; addetti alle pulizie; autisti e autotrasportatori; babysitter e badanti; baristi e camerieri; commessi e addetti alle vendite; custodi e portieri; estetiste e parrucchieri; facchini; istruttori di autoscuola; letturisti di contatori; manutentori; muratori e qualifiche operaie dell'edilizia; piloti e assistenti di volo; prestatori di manodopera nel settore agricolo; addetti alle attività di segreteria e terminalisti.Attenzione: non è escluso il lavoro a progetto per i tipi suddetti, ma si invita l'ispettore a porre cura nel verificare il contratto, sollecitandolo a «ricondurre dette fattispecie al lavoro subordinato in caso che non soddisfino i requisiti di autonomia».
Ed ecco dunque i criteri per stabilire se c'è un eventuale abuso. Innanzitutto il contratto deve essere formalizzato per iscritto: in mancanza, l'ispettore lo ricondurrà al lavoro subordinato. Inoltre, le mansioni svolte «non possono totalmente coincidere con l'attività principale o accessoria d'impresa come risultante dall'oggetto sociale». Le forme del coordinamento cui il lavoratore è sottoposto devono poi «essere espressamente individuate nell'accordo contrattuale».Quanto al contenuto, si specifica che «una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata è assai difficilmente compatibile» con il lavoro a progetto; al lavoratore, «fermo restando il collegamento con la struttura organizzativa del committente, deve residuare una autonomia di scelta sulle modalità esecutive», e non deve esserci «un serrato controllo da parte del committente, esercitato direttamente o per interposta persona»; «devono essere del tutto assenti manifestazioni di un potere disciplinare, anche in forma sanzionatoria».Il lavoro a progetto, indica il ministero, è caratterizzato da un «risultato predeterminato definito dalle parti al momento della stipulazione del contratto, e tale risultato non può essere cambiato successivamente dal committente in modo unilaterale». Infine, «la proroga ingiustificata e il rinnovo per un progetto identico al precedente, costituiscono elementi indiziari particolarmente incisivi».E' ovvio che se si sono segnalati diversi mestieri «a rischio» e posta tanta attenzione nello spaccare il capello, significa che gli ispettori hanno incontrato diversi casi in cui le imprese applicavano il progetto ad attività improbabili. Ma è chiaro che gli imprenditori, per quanti controlli si facciano, utilizzeranno sempre un contratto che può arrivare a costare la metà del lavoro dipendente e che permette il licenziamento senza giusta causa. Una contraddizione che il ministro Damiano, come lo stesso Pd e la sinistra «radicale», da ultime Cgil, Cisl e Uil, non hanno voluto affrontare, siglando un Protocollo che ha confermato questa forma di sfruttamento. La circolare appare dunque solo come un «panicello» per i pochi fortunati che vedranno un ispettore piombare nella propria impresa. (tratto da Il Manifesto del 1 febbraio 2008)
Il ministero del lavoro è tornato sulla questione cocoprò, uno dei temi «caldi» che ha caratterizzato l'ultimo governo, soprattutto dopo la circolare del 2006 sui call center e l'ispezione in Atesia. Non è intervenuta la cancellazione del contratto ambiguo per eccellenza e dove si annida quasi sempre una forma di sfruttamento, ma in base al recente Protocollo sul welfare si è deciso di dare una stretta sui possibili abusi. Il 29 gennaio il ministero ha dunque emesso la Circolare numero 4, indirizzata agli ispettori del lavoro, che intende però fare anche da «monito» e da indicazione per i datori di lavoro (gli ispettori, per quanto numerosi, non potranno mai battere a tappeto i sei milioni di imprese italiane). Ma attenzione: non si tratta di una legge, è un regolamento su come effettuare le ispezioni.
Salta all'occhio u n elenco contenuto alla fine della circolare, che riporta «quelle attività che l'esperienza ispettiva ha ritenuto difficilmente compatibili, nel concreto, con il regime di autonomia che deve caratterizzare» il lavoro a progetto. Eccole: addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici; addetti alle agenzie ippiche; addetti alle pulizie; autisti e autotrasportatori; babysitter e badanti; baristi e camerieri; commessi e addetti alle vendite; custodi e portieri; estetiste e parrucchieri; facchini; istruttori di autoscuola; letturisti di contatori; manutentori; muratori e qualifiche operaie dell'edilizia; piloti e assistenti di volo; prestatori di manodopera nel settore agricolo; addetti alle attività di segreteria e terminalisti.Attenzione: non è escluso il lavoro a progetto per i tipi suddetti, ma si invita l'ispettore a porre cura nel verificare il contratto, sollecitandolo a «ricondurre dette fattispecie al lavoro subordinato in caso che non soddisfino i requisiti di autonomia».
Ed ecco dunque i criteri per stabilire se c'è un eventuale abuso. Innanzitutto il contratto deve essere formalizzato per iscritto: in mancanza, l'ispettore lo ricondurrà al lavoro subordinato. Inoltre, le mansioni svolte «non possono totalmente coincidere con l'attività principale o accessoria d'impresa come risultante dall'oggetto sociale». Le forme del coordinamento cui il lavoratore è sottoposto devono poi «essere espressamente individuate nell'accordo contrattuale».Quanto al contenuto, si specifica che «una prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata è assai difficilmente compatibile» con il lavoro a progetto; al lavoratore, «fermo restando il collegamento con la struttura organizzativa del committente, deve residuare una autonomia di scelta sulle modalità esecutive», e non deve esserci «un serrato controllo da parte del committente, esercitato direttamente o per interposta persona»; «devono essere del tutto assenti manifestazioni di un potere disciplinare, anche in forma sanzionatoria».Il lavoro a progetto, indica il ministero, è caratterizzato da un «risultato predeterminato definito dalle parti al momento della stipulazione del contratto, e tale risultato non può essere cambiato successivamente dal committente in modo unilaterale». Infine, «la proroga ingiustificata e il rinnovo per un progetto identico al precedente, costituiscono elementi indiziari particolarmente incisivi».E' ovvio che se si sono segnalati diversi mestieri «a rischio» e posta tanta attenzione nello spaccare il capello, significa che gli ispettori hanno incontrato diversi casi in cui le imprese applicavano il progetto ad attività improbabili. Ma è chiaro che gli imprenditori, per quanti controlli si facciano, utilizzeranno sempre un contratto che può arrivare a costare la metà del lavoro dipendente e che permette il licenziamento senza giusta causa. Una contraddizione che il ministro Damiano, come lo stesso Pd e la sinistra «radicale», da ultime Cgil, Cisl e Uil, non hanno voluto affrontare, siglando un Protocollo che ha confermato questa forma di sfruttamento. La circolare appare dunque solo come un «panicello» per i pochi fortunati che vedranno un ispettore piombare nella propria impresa. (tratto da Il Manifesto del 1 febbraio 2008)
venerdì 20 giugno 2008
Vietato scaricare files personali dalla rete del Comune
I dipendenti pubblici che utilizzano internet per motivi estranei al lavoro rischiano la sospensione.
(Cassazione 20326/2008)
I dipendenti pubblici che navigano troppo sul web e utilizzano la rete per scaricare materiale non legato al proprio lavoro commettono il reato di peculato e rischiano la sospensione dal servizio. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la revoca della sospensione dall’esercizio di pubblico servizio di un dipendente del Comune di Trani. L’impiegato era stato sorpreso a servirsi del computer dell’ufficio, al quale era collegato un masterizzatore dvd, per uso personale usufruendo della rete informatica del Comune. Come ricostruito dai giudici, infatti, il dipendente comunale navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati ed immagini non inerenti alla pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere pornografico, con danno economico per l’ente pubblico. Indagato per peculato, l’impiegato era stato prima sospeso dal Tribunale di Trani e successivamente riammesso dal Tribunale di Bari, che aveva stabilito che “il reato di peculato tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso e dalla navigazione”, ritenendo, con particolare riferimento al collegamento alla rete elettrica, che non si fosse indicato il danno patrimoniale, atteso che “i computers sono sempre collegati alla rete elettrica, né può ritenersi ulteriore consumo di energia elettrica per il fatto che a un computer siano collegate una o più periferiche”. Contro tale decisione la Procura di Bari aveva proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha disposto un nuovo processo per l’imputato, ricordando che “l’art. 314 del codice penale, oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col personale dipendente”, per cui la vicenda deve essere riesaminata in quanto il Tribunale del riesame dà per scontato un dato che non emerge affatto dagli atti, cioè che il computer fosse perennemente collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare costi fissi per la pubblica amministrazione indipendente dalla navigazione in internet. Il Tribunale dovrà inoltre motivare se sussista un pericolo di reiterazione del reato, tenuto conto del fatto che sono stati trovati sull'apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10.000 files, di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate.
(Cassazione 20326/2008)
I dipendenti pubblici che navigano troppo sul web e utilizzano la rete per scaricare materiale non legato al proprio lavoro commettono il reato di peculato e rischiano la sospensione dal servizio. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la revoca della sospensione dall’esercizio di pubblico servizio di un dipendente del Comune di Trani. L’impiegato era stato sorpreso a servirsi del computer dell’ufficio, al quale era collegato un masterizzatore dvd, per uso personale usufruendo della rete informatica del Comune. Come ricostruito dai giudici, infatti, il dipendente comunale navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati ed immagini non inerenti alla pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere pornografico, con danno economico per l’ente pubblico. Indagato per peculato, l’impiegato era stato prima sospeso dal Tribunale di Trani e successivamente riammesso dal Tribunale di Bari, che aveva stabilito che “il reato di peculato tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso e dalla navigazione”, ritenendo, con particolare riferimento al collegamento alla rete elettrica, che non si fosse indicato il danno patrimoniale, atteso che “i computers sono sempre collegati alla rete elettrica, né può ritenersi ulteriore consumo di energia elettrica per il fatto che a un computer siano collegate una o più periferiche”. Contro tale decisione la Procura di Bari aveva proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha disposto un nuovo processo per l’imputato, ricordando che “l’art. 314 del codice penale, oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col personale dipendente”, per cui la vicenda deve essere riesaminata in quanto il Tribunale del riesame dà per scontato un dato che non emerge affatto dagli atti, cioè che il computer fosse perennemente collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare costi fissi per la pubblica amministrazione indipendente dalla navigazione in internet. Il Tribunale dovrà inoltre motivare se sussista un pericolo di reiterazione del reato, tenuto conto del fatto che sono stati trovati sull'apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10.000 files, di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate.
Nasce il reato di molestie reiterate o stalking
Il disegno di legge dovrà ora essere esaminato dalle Camere
(Schema ddl Cdm 18.6.2008)
Il disegno di legge propone di introdurre nel nostro ordinamento il reato cosiddetto dello “stalking”, cioè di molestie reiterate e insistenti. È stato con il Consiglio dei Ministri del 18 giugno 2008, che il governo ha approvato il ddl recante misure contro gli atti persecutori, proposto dal Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna. Con questo provvedimento chiunque commetta atti persecutori, il cosiddetto “stalking” appunto, sarà punito dalla legge con pene fino a quattro anni di reclusione. Si prevede l’ergastolo se lo stalker arriva a uccidere la propria vittima. La vittima per difendersi può presentare querela. Ma prima della querela può richiedere al questore un provvedimento di ammonimento orale nei confronti del persecutore. Si introducono delle aggravanti se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona legata alla vittima da una relazione affettiva. La pena è aumentata fino alla metà e si procede d’ufficio se il fatto è commesso ai danni di un minore, se ricorrono le aggravanti di aver agito con la minaccia delle armi, con più persone, con scritti anonimi o se lo stalker è già stato ammonito oralmente dal questore. E’ previsto anche il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dai suoi congiunti, dai suoi conviventi o legati da una relazione affettiva. Il provvedimento dovrà ora andare all’esame delle Camere.
(Schema ddl Cdm 18.6.2008)
Il disegno di legge propone di introdurre nel nostro ordinamento il reato cosiddetto dello “stalking”, cioè di molestie reiterate e insistenti. È stato con il Consiglio dei Ministri del 18 giugno 2008, che il governo ha approvato il ddl recante misure contro gli atti persecutori, proposto dal Ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna. Con questo provvedimento chiunque commetta atti persecutori, il cosiddetto “stalking” appunto, sarà punito dalla legge con pene fino a quattro anni di reclusione. Si prevede l’ergastolo se lo stalker arriva a uccidere la propria vittima. La vittima per difendersi può presentare querela. Ma prima della querela può richiedere al questore un provvedimento di ammonimento orale nei confronti del persecutore. Si introducono delle aggravanti se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona legata alla vittima da una relazione affettiva. La pena è aumentata fino alla metà e si procede d’ufficio se il fatto è commesso ai danni di un minore, se ricorrono le aggravanti di aver agito con la minaccia delle armi, con più persone, con scritti anonimi o se lo stalker è già stato ammonito oralmente dal questore. E’ previsto anche il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dai suoi congiunti, dai suoi conviventi o legati da una relazione affettiva. Il provvedimento dovrà ora andare all’esame delle Camere.
giovedì 19 giugno 2008
Conviventi maltrattate tutelate come mogli
Il reato di maltrattamenti in famiglia deve essere esteso anche alle conviventi “more uxorio”
(Cassazione 20647/2008)
Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura anche quando è commesso ai danni di persona convivente “more uxorio”, in quanto le donne che convivono stabilmente con il partner hanno diritto alla stessa tutela prevista dal codice penale per le mogli. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la misura della custodia cautelare per un signore di Torre del Greco arrestato in quanto sottoponeva la convivente a continue violenze fisiche e morali. L’imputato, che viveva con la sua compagna da più di dieci anni e dalla quale aveva avuto due figlie, aveva sostenuto che non si potesse parlare di maltrattamenti in famiglia in quanto la donna era una semplice convivente. La Suprema Corte ha invece affermato che, per costante giurisprudenza, “ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di persona convivente more uxorio”, in quanto il richiamo contenuto nell'art. 572 del codice penale alla “famiglia” deve intendersi riferito “ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la famiglia di fatto”. È sufficiente pertanto che si tratti di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra due persone con legami di reciproca assistenza e protezione.
(Cassazione 20647/2008)
Il reato di maltrattamenti in famiglia si configura anche quando è commesso ai danni di persona convivente “more uxorio”, in quanto le donne che convivono stabilmente con il partner hanno diritto alla stessa tutela prevista dal codice penale per le mogli. Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la misura della custodia cautelare per un signore di Torre del Greco arrestato in quanto sottoponeva la convivente a continue violenze fisiche e morali. L’imputato, che viveva con la sua compagna da più di dieci anni e dalla quale aveva avuto due figlie, aveva sostenuto che non si potesse parlare di maltrattamenti in famiglia in quanto la donna era una semplice convivente. La Suprema Corte ha invece affermato che, per costante giurisprudenza, “ai fini della configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia non assume alcun rilievo la circostanza che l'azione delittuosa sia commessa ai danni di persona convivente more uxorio”, in quanto il richiamo contenuto nell'art. 572 del codice penale alla “famiglia” deve intendersi riferito “ad ogni consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile periodo di tempo, ricomprendendo questa nozione anche la famiglia di fatto”. È sufficiente pertanto che si tratti di un rapporto tendenzialmente stabile, sia pure naturale e di fatto, instaurato tra due persone con legami di reciproca assistenza e protezione.
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